Der Spiegel

Scritto da Thilo Thielke

Traduzione: The Day the Thai Army Moved In

"…Arrivai alle 8 nella zona rossa, un'area larga circa tre chilometri quadrati attorno al distretto d'affari di Ratchaprasong, che l'esercito aveva provveduto nei giorni precedenti a isolare completamente. Come nelle altre occasioni, era relativamente facile entrare nella zona occupata dalle magliette rosse dove mi ero già recato spesso nelle passate settimane. Al di là delle barricate fatte di canne di bambù e copertoni di auto, le magliette rosse avevano fissato le proprie tende e messo su un palco. Ma l'atmosfera da partito rivoluzionario che era regnata nei giorni passati si era dissolta quella mattina.
La gente attendeva stoicamente i soldati. Sapevano che avrebbero attaccato da sud, dalla Silom Road, ed i più coraggiosi si erano avventurati fino ad un chilometro dalla linea principale. Erano fermi lì ma non stavano combattendo. Alcuni avevano delle fionde ma nessuno stava sparando.
A separare i manifestanti dall'esercito c'era un muro di fuoco di pneumatici, il cui spesso fumo soffocava la strada. Mentre i soldati facevano pressione lentamente, gli spari afferravano la strada. Dei cecchini sparavano appostati sui grattacieli, mentre le truppe che avanzavano sparavano attraverso il denso fumo. E noi, un gruppo di giornalisti ci ponemmo al riparo pressati contro un muro per evitare di essere colpiti. Dei furgoncini con personale paramedico si avvicinarono veloci per portare via i feriti.
Alle 9,30 il giornalista italiano Fabio Polenghi si unì a noi. Aveva passato molto tempo a Bangkok negli scorsi due anni e nel frattempo avevamo fatto amicizia. Fabio, un sognatore dall'indole buona, di 48 anni di Milano, aveva fatto il fotografo di moda a Londra, Parigi e Rio prima di arrivare a Bangkok e lavorare come fotogiornalista. Avevamo viaggiato insieme per un servizio in Birmania e si da allora aveva spesso lavorato per lo Spiegel. Nelle settimane precedenti noi due ci muovevamo spesso insieme.
Proprio la sera precedente, avevamo camminato per la città insieme fino a notte fonda. Ci incontrammo sulla Din Daeng Street vicino a Victory Monument… Ora ci trovavamo nel bel mezzo di un panorama urbano devastato che metteva in mostra lo slittamento verso il caos della nazione. Un fumo nero denso permeava l'aria; era visibile solo la forma dell'obelisco. Le strade erano state trasformate in una zona di guerra. Pochi giorni prima ero rimasto accovacciato dietro un muretto per mezz'ora per proteggermi dalla grandine di proiettili dell'esercito che aveva aperto improvvisamente il fuoco poiché qualcuno che si voleva mettere in mostra se ne andava in giro con una fionda.
Non lontano dall'accampamento delle magliette rosse si erige il tempio Pathum Wanaram che si considerava dovesse essere la zona sicura per donne e bambini durante l'attacco. …..
Quando ritornammo il giorno dopo ..il caos regnava dappertutto. Fabio ed io osservavamo il fumo e i soldati al di là che avanzavano verso di noi, e sentivamo un crescere di spari. I cecchini appostati in una stradina laterale miravano verso di noi.
La strage era cominciata. Non osai andare oltre, ma Fabio attraversò la strada di corsa dove gli spari erano regolari, a circa 50 metri, e cercò un rifugio in una tenda abbandonata della croce rossa. Questa segnava l'inizio della terra di nessuno tra noi e le truppe che avanzavano. Vidi apparire il suo elmetto blu con la scritta “STAMPA”. Mi fece segno di muovermi verso di lui, ma era troppo pericoloso per me stare lì.
Quella mattina i primi soldati passarono attraverso il muro di fumo. Dal punto in cui stavo era quasi impossibile distinguerli, ma si poteva sentire il sibilare dei proiettili nell'aria. Erano sparati dai cecchini che si facevano così strada, di palazzo in palazzo. Alcuni sembravano esser e direttamente sopra di noi. Non riuscivo a vedere Fabio.
Mi diressi verso il tempio di Pathum Waranan, qualche centinaio di metri verso ovest nella zona rossa. I manifestanti avevano perso, era chiaro, non avevano opposto resistenza. Erano le 11 e 46 e stavano suonando l'inno nazionale. Donne e bambini fuggivano verso il tempio per sfuggire all'arrivo dei soldati.
Alle 11 e 53 provai a contattare per telefono Fabio. Rispose la segreteria telefonica, il che non era insolito. Raramente si riusciva ad avere il segnale. Dall'altra parte della strada di fronte all'ospedale della polizia, un gruppo di giornalisti attendeva gli infermieri con i feriti. Un'infermiera annotava chi era ammesso. Erano le 12,07 e aveva scritto già 14 nomi. Un giornalista estero mi era al fianco e disse che avevano sparato ad un italiano. Proprio al cuore. Più di un'ora e mezza fa. Disse che aveva fatto la foto e conosceva il suo nome, Fabio Polenghi.

…La sera del giorno in cui il governo si era ripromesso di restaurare l'ordine, Bangkok era un posto dell'apocalissi. E Fabio, il mio amico, era morto."

Source: Le terre sotto vento